L’incipit: l’importanza di iniziare bene

Incipit: perché è così importante?

Che tu abbia scritto una novella breve o un romanzo, le prime sue righe possono essere determinanti per colpire l’immaginazione o le emozioni del lettore.
Dall’incipit si può intuire quale sia lo stile dello scrittore, quale la musica che incontreremo lungo le pagine che ci approcciamo a leggere. Se hai strabuzzato gli occhi leggendo la parola “musica”, lasciati raccontare perché parlo di essa: a scandire il ritmo di una melodia è il tempo che intercorre tra le note suonate e udibili e i silenzi, le pause, che possono essere brevi, lunghe, oppure sincopate e nervose. È leggendo:

Emerse dalle tenebre.
Memento e incubo.

Un uomo in un mantello colore delle ombre, su un cavallo da guerra colore dell’acciaio. Un viandante. Nient’altro che un viandante in nero.
Avanzò lungo la strada flagellata dalla pioggia del Giorno dei Morti. Superò i relitti di case sventrate, invase da erbacce sibilanti nel vento. L’aria era opaca, miasmatica. Vapori lividi si levavano dal lastrico di pietre, disperdendosi contro nubi simili ad antracite liquefatta. Nessuna luce arrivava sulla terra. Forse la luce aveva semplicemente cessato di esistere.”

(Alan D. Altieri – Trilogia di Magdeburg: L’eretico)

che notiamo la solennità evocativa della penna di Altieri. Quello che segue alle prime due righe è quasi filmico: sono tanti frame che si susseguono, eppure ben separati gli uni dagli altri da una serrata punteggiatura. Fosse stata punteggiata diversamente, questa descrizione avrebbe perso tutte le sue qualità:

Emerse dalle tenebre, memento e incubo.
Un uomo in un mantello, colore delle ombre, su un cavallo da guerra colore dell’acciaio. Un viandante, nient’altro che un viandante in nero.
Avanzò lungo la strada flagellata dalla pioggia del Giorno dei Morti, superò i relitti di case sventrate, invase da erbacce sibilanti nel vento. L’aria era opaca, miasmatica: vapori lividi si levavano dal lastrico di pietre, disperdendosi contro nubi simili ad antracite liquefatta. Nessuna luce arrivava sulla terra… forse la luce aveva semplicemente cessato di esistere.

(Perdonami, Alan!) Le parole sono le stesse, eppure la punteggiatura ha cambiato tutto: le sequenze si ingarbugliano, il ritmo è vanificato. La disposizione dei segni di interpunzione “rema” contro le bellissime parole, rendendo meno fluido il loro succedersi e disegnare un’immagine nella fantasia del lettore.
Per aiutarti ad evitare errori simili c’è proprio l’editor, una figura mitologica a tre teste: una da inveterato topo di biblioteca, una da psicologo dal sangue freddo e l’altra da maniaco ossessivo-compulsivo per la consecutio temporum.
Chi ha lavorato con me (clicca qui) sa quanta importanza conferisco alla musica nel testo, da comporre usando sapientemente lemmi e ritmo, disegnando un’idea come un quadro, una fotografia o la scena di un film.
Ti lascio di seguito altri tre buoni esempi di incipit, di autori diversi, che discuterò nel prossimo post:

 

“Un cuore così bianco” – Javier Marìas (1992)

Non ho voluto sapere, ma ho saputo che una delle bambine, quando non era più bambina ed era appena tornata dal viaggio di nozze, andò in bagno, si mise davanti allo specchio, si sbottonò la camicetta, si sfilò il reggiseno e si cercò il cuore con la canna della pistola di suo padre, il quale si trovava in sala da pranzo in compagnia di parte della famiglia e di tre ospiti. Quando echeggiò lo sparo, più o meno cinque minuti dopo che la bambina si era allontanata, il padre non si alzò subito da tavola, ma restò qualche secondo incapace di muoversi e con la bocca piena, senza riuscire a masticare né ingoiare, e tantomeno sputare il boccone nel piatto; e quando alla fine reagì e corse in bagno, chi lo aveva seguito notò che mentre scopriva il corpo insanguinato della figlia e si metteva le mani nei capelli continuava a passare il boccone di carne da una guancia all’altra, senza sapere che farne.

La camera”, da «Il muro»  – Jean Paul Sartre (1939)

I.

La signora Darbérat teneva un rahat lukùm tra le dita.
L’avvicinò alle labbra con precauzione e trattenne il respiro, temendo di dissipare col fiato il sottile velo di zucchero di cui era cosparso:  «È alla rosa», si disse. Bruscamente diede un morso a quella carne vetrificata e un sapore d’acqua stagnante le riempì la bocca.  «È strano come la malattia acuisca le sensazioni». Si mise a pensare a moschee, a orientali ossequiosi, (era stata ad Algeri durante il viaggio di nozze) e le sue labbra pallide abbozzarono un sorriso: anche il rahat lukùm era ossequioso.
Dovette passare a più riprese  il palmo della mano sulle pagine del libro che, nonostante le sue precauzioni, si eran coperte d’un sottile strato di polvere bianca. Le sue mani facevano scivolare, rotolare, stridere i granellini di zucchero sulla carta liscia. « Questo mi ricorda Archacon, quando leggevo sulla spiaggia».

Aveva passato al mare l’estate del 1907. Portava in quel tempo un gran cappello di paglia con un nastro verde; s’installava proprio vicino al molo con un romanzo di Gyp o di Colette Yver.
Il vento le faceva piovere sulle ginocchia mulinelli di sabbia e, di tanto in tanto, ella scoteva il libro tenendolo per gli angoli. Era proprio la stessa sensazione: solo che i granellini di sabbia eran del tutto asciutti mentre questi piccoli detriti di zucchero le si appiccicavano un po’ alla punta delle dita. Rivide una striscia di cielo grigio-perla che sovrastava un mare nero. «Eva non era ancora nata».
Si sentiva tutta piena di ricordi e preziosa come uno scrigno di sandalo.



“Althénopis” –  Fabrizia Ramondino (1981)

La nonna

Era sempre vestita di nero, ma quando passava per la piazza di Santa Maria del Mare, come fiamme d’inferno i colori le guizzavano intorno, dei gialli, dei viola, perfino talora dei rossi e dei verdi; non portava bracciali, eppure bagliori dorati sembravano splenderle intorno ai polsi. Camminava eretta, rapida, con i grandi capelli rialzati oscillanti: impeto e altezza; sotto la gonna nera si profilava elegante la gamba fino alla coscia; la veste era scollata sul petto magro, arrossato, un largo nastro di velluto nero le fermava le arterie agitate del collo.

 

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Buona letteratura!

 

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Testo di Maria Pia Dell’Omo. Tutti i diritti riservati. Vietata la copia anche parziale.
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L'incipit, tra le pagine di un romanzo

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